venerdì 6 aprile 2012

LUCA LANZA - Il brigantaggio

Analisi del brano "Il tesoro dei briganti", da Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi


Nell’incipit del brano intitolato “Il tesoro dei briganti”, tratto dal romanzo di Carlo Levi Cristo si è fermato a Eboli, emerge forte e evidente il desiderio di giustizia da parte della popolazione contadina che, per secoli, aveva vissuto sottomessa a varie potenze.

La principale forma di violenta ribellione è rappresentata dal fenomeno del brigantaggio: i briganti non erano altro che contadini che, non potendo trovare nessuna espressione nello stato e nessuna difesa nelle leggi, intraprendevano azioni violente che culminavano anche nell’omicidio, per poi avviarsi rassegnati alla prigione.

L’autore ha l’occasione di conoscere un ex-brigante che vive tranquillamente a Grassano, frequenta il barbiere e conduce una vita tranquilla e rispettabile. Racconta brevemente la sua storia, culminata nell’omicidio di un carabiniere, il cui ricordo non gli pesa affatto sulla coscienza ma appartiene ad un periodo della vita che egli considera di "guerra". Pertanto, l’atto rientrava inevitabilmente e naturalmente in un’azione di guerra.

Ancora l’autore viene a conoscere la storia di un ex-brigante di 90 anni, che in paese è considerato e venerato come un santo; a lui ricorrono tutti i contadini per i consigli in situazioni difficili della vita. L’autore è dispiaciuto di non poterlo conoscere, probabilmente poiché perde l’opportunità di far luce sui tanti perché del brigantaggio.

Infine, una volta il barbiere gli indica un’importante proprietario terriero il cui nonno, non avendo voluto sottostare alle richieste dei briganti, venne rapito e perse un orecchio prima che la famiglia pagasse il riscatto. Infatti era prassi dei briganti tagliare le orecchie, il naso e la lingua dei signori per farsi pagare i riscatti. Al contrario, i soldati tagliavano direttamente la testa ai briganti che riuscivano a catturare e le attaccavano sui pali nei paesi perché servissero da esempio.

Era una guerra di distruzione e di logoramento da entrambe le parti: i briganti erano facilitati perché conoscevano la morfologia dei monti, scavati di buche e di grotte naturali, dove si riparavano e nascondevano i denari delle taglie e il bottino delle loro rapine. Una volta che il fenomeno del brigantaggio fu sgominato, quei tesori rimasero nascosti nella terra e nei boschi, esistenza reale e concreta dei tesori che le credenze e le leggende avevano sempre immaginato.

Secondo Carlo Levi quella che si gioca tra i briganti e le forze dell’ordine è una guerra di distruzione che da una parte porta a bruciare il municipio o la caserma dei carabinieri o le masserie dei proprietari terrieri, dall’altra invece mira all’eliminazione fisica dei banditi. Questi diventano tali poiché decidono di farsi giustizia da sé, visto che né lo stato né le leggi li tutelano, e quindi fanno delle rapine e degli omicidi i loro principali mezzi di giustizia. Invece, i carabinieri rappresentano lo strumento con cui lo stato vuole fermare i briganti. Secondo l’autore i briganti prima di arrivare ad una violenza fisica cercano di ottenere con le buone grano o bestie; al rifiuto passano al rapimento dei signori e alla domanda di riscatto alla famiglia, resa più incalzante con l'invio di macabre parti del rapito, seguendo una specie di comportamento prefissato. Al contrario, lo stato, per debellare la piaga del brigantaggio , taglia la testa ai banditi catturati, a suo dire per esempio, ma di fatto scatenando la reazione dei briganti e riaccendendo la guerra. Certo, alla fine lo stato vincerà, perché può contare su un numero maggiore di uomini, prendendo per sfinimento i banditi, ma dimostrerà anche di non conoscere che il linguaggio della violenza.

Inizialmente il sostantivo “distruzione” viene dunque adoperato da Carlo Levi per indicare uno stato di abbattimento fisico e mentale che si annida nella secolare sottomissione alla fatica quotidiana dei contadini, i quali cercano di reagire con una violenza, destinata però alla lunga al fallimento. Infatti, il banditismo, dopo un primo momento di successo, a causa della scarsa organizzazione e delle difficili condizioni di vita dei briganti è destinato infine al fallimento. Pertanto, anche il binomio di termini "distruzione-annichilimento" sottolinea l’impressione di un esito negativo dell’impresa dei contadini che si ribellano allo stato.

Durante l’incontro tra Levi e il brigante di Grassano, quest’ultimo chiama l’autore “esiliato” invece che “confinato”. Sembra così che il brigante consideri le terre della Basilicata non appartenenti allo stato italiano, poiché lo stato non è in grado di tutelare tutti i ceti della popolazione con la giustizia. Indubbiamente, l’immagine della monarchia italiana che si ricava è negativa, anche se si tratta di uno stato “giovane” che deve far fronte ancora a parecchi problemi di carattere interno.

Il movimento del brigantaggio nasce e trova l’appoggio dei contadini, che nei briganti vedono degli eroi leggendari, che rubano ai ricchi per dare ai poveri e che nascondono tesori immensi. I briganti che l’autore conosce vivono infatti tranquillamente nei loro paesi, con il pieno appoggio della popolazione, che addirittura li onora come santi. Forse questo avviene perché gli ex-banditi sono sopravvissuti ad una guerra di distruzione e perciò vengono considerati dei paladini e dei difensori dei deboli. Nella tradizione comune si pensava d'altronde che la forza dei briganti derivasse da patti stretti col Maligno e altre potenze oscure, che abitavano caverne e boschi, da sempre sede di entità sovrannaturali.

Quella di Carlo Levi appare come un’inchiesta documentaria sui briganti, in quanto l’autore da una parte riporta delle fonti dirette (l’incontro con l’ex-brigante nella bottega del barbiere, il racconto del barbiere stesso), dall’altra riprende un racconto fatto dalla sua domestica. Nei primi due casi Levi riproduce il racconto sotto forma di dialogo, invece nell’ultimo caso riferisce sotto forma di narrazione in prima persona la vita di un altro ex-brigante. Il lessico dei personaggi non è caratterizzato da forme dialettali come ci saremmo potuti aspettare. L’autore si pone in un atteggiamento di simpatia e di partecipazione nei confronti degli ex-briganti, e addirittura rimpiange di non aver potuto conoscere il più vecchio di questi. 


Il problema del brigantaggio non riguardava soltanto il sud ma anche, per esempio, la Romagna, dove è ancora viva la memoria del “Passatore”, che agì sotto lo Stato pontificio ma che rappresenta comunque un altro esempio di malcontento popolare. Come si è detto in precedenza, il brigantaggio fa parte di una serie di problemi di carattere interno che il giovane stato italiano doveva affrontare e risolvere, alla luce di un’unificazione che prima che sui territori doveva agire su popolazioni dalla lingua, dalle abitudini e dalle usanze diverse. Indubbiamente, la soluzione scelta dallo stato italiano fu anche di tipo violento, atta a risolvere il problema alle radici senza mezze misure e mezzi diplomatici. Questo atteggiamento per la fermezza e la durezza con cui veniva portato avanti si scontra con la mentalità dei contadini stanca di non vedere rispettati i propri diritti.

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