lunedì 9 aprile 2012

FABIO ZUCCONI - Il discorso di Roberto Benigni del 17 marzo 2012


Il 17 marzo 2012 si sono concluse le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia.
Per l’occasione il Quirinale ha chiamato l’attore e comico Roberto Benigni per leggere e commentare alcuni documenti riguardanti la storia italiana dal 1861 al 1945. In primo luogo egli ha letto il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 1861 della proclamazione dell’unità, che costituisce l’atto di nascita del Regno d’Italia.
In questo contesto Benigni ha parlato dei tre padri che hanno auspicato l’unificazione: Cavour, Mazzini e Garibaldi. Il primo è - a parere di Benigni - senza dubbio il più grande statista del XIX secolo. Cavour infatti non si fidava delle dittature e aveva un concetto del Parlamento giusto e democratico. Giuseppe Mazzini, invece, elaborò originalmente il concetto di patria: secondo lui, essa non s’identifica con il territorio, ma con l’idea che ne hanno i cittadini, con il senso di unione che accomuna tutti quelli che vi abitano. Egli sosteneva che una patria non poteva essere tale se non erano garantiti il diritto di voto, l’educazione e il lavoro, insistendo in particolare su quest’ultimo punto, poiché gli uomini che non hanno lavoro non percepiscono il territorio in cui vivono come patria. Si tratta senz’altro di un’idea moderna e all’avanguardia che è valida tuttora. Per quanto il pensiero di Giuseppe Garibaldi, forse il più innovativo tra tutti, egli immaginava una confederazione tra le nazioni europee, un grande unico Stato che, grazie alla sua potenza, nessuno avrebbe osato attaccare. Questa “unione” avrebbe soprattutto favorito la fine delle ostilità tra nazioni europee, in particolare tra Francia e Inghilterra, e anche l’entrata della Russia, socialmente ed economicamente arretrata, all’interno dell’Europa. Il fatto più straordinario riguardo Garibaldi è la sua lungimiranza: egli nell’Ottocento aveva già preconizzato l’Unione Europea, nella quale sarebbero confluiti tutti i paesi d’Europa, rispettando i valori di pace, associazione, sicurezza, fratellanza ed uguaglianza[1].
Successivamente l'attore è passato alle memorie relative alla Grande Guerra. A questo proposito, ha letto una poesia intitolata Voce di vedetta morta, scritta da Clemente Rebora, poeta che combatté sul Carso rimanendo gravemente ferito:
C'è un corpo in poltiglia
con crespe di faccia , affiorante
sul lezzo dell'aria sbranata.
Frode la terra.
Forsennato non piango:
Affar di chi può e del fango.
Però se ritorni
tu uomo, di guerra
a chi ignora non dire;
non dire la cosa, ove l'uomo
e la vita s'intendono ancora.
Ma afferra la donna
una notte dopo un gorgo di baci,
se tornare potrai;
soffiale che nulla nel mondo
redimerà cio ch'è perso
di noi, i putrefatti di qui; stringile il cuore a strozzarla:
e se t'ama, lo capirai nella vita
più tardi, o giammai.

La poesia esprime umanità attraverso la pietà e la compassione per la sentinella che si trova in mezzo al fango colpita da un proiettile. In questo contesto Rebora rimane attaccato alla vita pensando al futuro, alla donna che ama e che rivedrà una volta finita la guerra.
Nel 1921, proseguendo nel viaggio storico proposto da Benigni, il Parlamento fece erigere un monumento al Vittoriano in onore del milite ignoto, un soldato non identificabile caduto in guerra. Questo fatto è importante perché in Italia mai prima di allora era stato realizzato un monumento per qualcuno che non godesse di un certo rilievo sociale. Il fatto è ancora più eclatante se si pensa che esso è stato eretto al Vittoriano, il monumento con il quale si celebrava Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia.

Dalla Grande Guerra, Benigni salta direttamente agli anni ’30, quando il fascismo era ormai diventato l’ideologia dominante. Infatti, un regio decreto del 1931 obbligava tutti i professori universitari a giurare fedeltà al regime fascista. Su 1250 docenti, solo 14 rifiutarono, e l'attore ritiene giusto ricordarne ad alta voce i nomi. Tra di loro spiccano due personaggi importanti: Giuseppe Antonio Borgese (scrittore) e Bartolo Nigrisoli (chirurgo).
Tuttavia c’erano alcuni intellettuali che già nel 1925 avevano capito che il fascismo avrebbe preso il sopravvento e che quindi si dimisero volontariamente dall’insegnamento. Essi erano Gaetano Salvemini e Francesco Saverio Nitti, due dei politici più antifascisti durante il governo di Mussolini.
A questo punto Benigni arriva alle legge razziali, la cui tragicità, secondo il comico, sfiora il ridicolo e di cui quindi non si può che parlare in modo ridicolo. A questo proposito cita una poesia di Trilussa, poeta dialettale romano, che parla di un uomo che ha gatto con un nome ebreo e che vuole farlo diventare ariano. Così si reca da un suo amico prefetto che, appurata l’origine dei genitori, gli firma un documento che dichiara il gatto di razza ariana. Ovviamente si tratta di un’estremizzazione della questione della razza, con la quale si vuole sottolineare quanto ridicolo fosse considerare gli ebrei una “razza”, e per di più inferiore.
Infine Benigni parla della Resistenza, e a questo proposito legge alcune lettere di ragazzi sui 18-20 anni che vi hanno partecipato come partigiani. Essi scrivono alle rispettive famiglie un saluto di addio poche ore prima di essere fucilati e dicono di essere innocenti, di morire per una giusta causa e invitano a non disperarsi per loro. C’è stato però un dettaglio, che essi raccontavano, che mi ha veramente ripugnato ed è stato l’atteggiamento dei giudici. Essi ridevano e si prendevano gioco di loro mentre leggevano la sentenza di morte. È invece da ammirare il gesto eroico compiuto da quei giovani ragazzi, che con il loro coraggio hanno combattuto strenuamente, liberando l’Italia dagli invasori. Grazie al loro sacrificio l’Italia è diventata una repubblica democratica, con una Costituzione che sancisce i valori fondamentali della nostra Patria.






[1] Va ricordato tuttavia che l’idea di Europa era comparsa per la prima volta nel XV secolo, in un’opera di Enea Silvio Piccolomini (Papa Pio II), intitolata De Europa. In quel periodo, infatti, si auspicava l’unione di tutte le potenze europee per difendersi dall’attacco dei turchi-ottomani.

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