giovedì 14 aprile 2011

Benincasa - Carne al sangue

Elena Benincasa - Carne al sangue.
Una portata di violenza, massacri e pazzia nel capolavoro cinematografico di Julie Taymor, Titus
Geniale o grottesco? Originale o eccessivo? Queste sono le domande che ci si pone dopo aver visto lo stravagante film “Titus” (1999) della regista americana Julie Taymor. Una pellicola che in 162 minuti di puro concentrato di follia ti sorprende, ti sconvolge e ti inorridisce, ma ti attira scena dopo scena lasciandoti molto su cui riflettere.
La trama si basa su quella originale della tragedia giovanile di W. Shakespeare Titus Andronicus, in cui il protagonista, appunto il generale romano Tito Andronico, si vuole vendicare della regina dei Goti Tamora, che prima viene da lui fatta prigioniera insieme ai figli Chirone e Demetrio, ma poi diventa la moglie del nuovo imperatore di Roma Saturnino. La storia prosegue con una fitta rete di avvenimenti che compongono una struttura complessa e piena di intrighi, in cui non mancano sgozzamenti, stupri, torture e perfino cannibalismo.
La peculiarità del film risiede nel fatto che la regista, pur rimanendo fedele al copione shakespeariano, attraverso un cast di grandi attori (Anthony Hopkins nella parte di Titus, Jessica Lange in quella di Tamora e Alan Cumming in quella di Saturnino), ha dato vita ad un’opera cinematografica che si potrebbe definire surrealista, tanto sono paradossali le situazioni che si vengono a creare: imperatori che girano per la città in automobile, giovani Goti che giocano a biliardo e bevono birra, soldati romani che usano pistole e tanti altri anacronismi ancora, per un repertorio davvero singolare.
Tuttavia, oltre alla stravaganza c’è molto altro: dietro ai personaggi e alle loro storie si nasconde un messaggio morale molto profondo, che riguarda l’idea per cui il male è innato nell’uomo, fa parte del suo essere. Il film, infatti, come già l’opera teatrale, presenta le varie sfaccettature della malvagità, dimostrando che essa risiede anche nel più valoroso degli eroi, anche nella fanciulla più pura. Dal tema del male dipendono quello della vendetta (una costante all interno del film), della pazzia (il cui esempio emblematico è lo stesso Titus) e della violenza (numerosi e sempre più atroci sono le scene di sangue).
Se poi si vuole scavare ancora più a fondo, si scopre che la tragedia tratta anche dei pregiudizi razziali, in quanto il malvagio, il vilain per eccellenza, implacabile nemico di Tito, è Aronne, un servo sì di colore, ma fiero e orgoglioso delle proprie origini.
Da notare poi che, se il film è un susseguirsi di scene orribili, il finale al contrario fa sperare in un futuro migliore, perché ci presenta l’immagine di un ragazzino, il giovane Lucio, nipote di Tito, che si incammina verso l’alba tenendo in braccio il figlio di Aronne. Insieme rappresentano la nuova generazione, quella che si spera abbia imparato dagli errori degli adulti e possa cancellare la violenza e l’odio che hanno governato il Titus Andronicus.
A completare il quadro vi è una colonna sonora moderna, che non c’entra nulla con l’epoca e che perciò rende ancora più vivo il contrasto tra presente e passato, inscindibilmente mescolati in un unico impasto.
Insomma, Titus è un film che, se non si è troppo suscettibili e si ha un pizzico di fantasia, è capace di stregare, di trasportare lo spettatore in una realtà che potrebbe esistere solo nella più fervida immaginazione e che ti lascia con un senso di stordimento quando si riaccendono le luci.

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