giovedì 14 aprile 2011

Aranciotta - Titus

Sofia Alexandra Aranciotta - Recensione del film Titus

Il film Titus (1994) è tratto da un'opera giovanile dell'illustre autore inglese William Shakespeare, scritta nel 1593-94 e reputata la più crudele e sanguinosa tra le sue tragedie.
La vicenda è ambientata in un tempo metastorico, dove l'antico e il moderno coesistono: moto e auto d'epoca sfilano insieme a legionari romani; musica contemporanea anima le feste nel palazzo dell'imperatore; abiti ottocenteschi si mescolano a divise militari romane; palazzi della Roma fascista si alternano alla classicità del Colosseo.
La vicenda così brutale e cupa è vissuta con gli occhi di Lucio, giovanissimo nipote di Tito, personaggio che non appare se non marginalmente nell'opera shakespeariana.
Il generale romano Tito Andronico ritorna a Roma dopo avere sconfitto i Goti, acclamato dal popolo e con un bottino di guerra particolare: Tamora, la regina dei Goti, i suoi tre figli e Aronne il moro, l'amante della donna. Le credenze religiose di quel tempo spingono Tito a sacrificare il primogenito di Tamora agli dei: nonostante le suppliche della regina, Alarbo viene ucciso. Da adesso in poi la regina gota vivrà per vendicarsi di Tito.
Roma nel frattempo è senza imperatore e due fratelli, Saturnino e Bassanio, concorrono per ricoprire la carica lasciata vacante dal defunto padre. Tito, invitato per la sua autorevolezza a Roma a pronunciarsi in merito, sceglie Saturnino, dandogli pure in moglie la figlia Lavinia, segretamente promessa a Bassanio, che però la rapisce e la nega al fratello. Il neo imperatore, per tutta risposta, sposa Tamora, che così può attuare la sua vendetta.
Ne scaturisce una catena sanguinosa di vendette ordite da Tamora e dal suo servo-amante Aronne. I figli dell'imperatrice uccidono Bassiano, violentano Lavinia tagliandole mani e lingua e infine fanno ricadere sui figli di Tito la colpa dell'uccisione del fratello dell'imperatore Saturnino.
Al termine della tragedia, Tito risponde però a questi orrori uccidendo i figli di Tamora e dandole poi in pasto i loro resti in un pasticcio di carne. Durante il banchetto, Tito, dopo aver rivelato il crimine dei figli dell'imperatrice e il contenuto del pasto cannibale appena consumato, uccide la figlia violata Lavinia. Tamora, inorridita, viene assassinata e Saturnino, prima di essere ucciso a sua volta, ammazza Tito.
Aronne, l'unico sopravvissuto, viene infine seppellito vivo, poiché non si pente mai delle sue azione malvagie.
Nel dramma di Shakespeare vi sono echi delle tragedie di Seneca, caratterizzate da scene macabre e violente. È facile trovare temi che verranno sviluppati dall'autore nelle opere successive: Aronne rappresenta il male come Otello o Re Macbeth; Tamora, simbolo del potere femminile, è simile a Lady Macbeth, pronta a rinunciare ad essere donna pur di dissetare la brama di potere; Tito, che si finge pazzo per attuare la sua vendetta, ricorda Amleto, nella cui opera la follia è l'unica forma di giustizia possibile in un mondo in cui la giustizia razionale dell'uomo fallisce.
Nel film particolare importanza viene data al luogo: Roma del presente e del passato; Roma imperiale e Roma fascista, dove la politica non rispetta i vinti, dove la giustizia non premia i saggi e dove tanto sangue è stato versato.

Il Tito Andronico di Shakespeare è stato considerato dalla critica letteraria il dramma più cruento da lui scritto. Ma io credo che la vera violenza non stia solo nell'elevato numero dei morti o nelle brutalità che si susseguono senza tregua, ma nel fatto che essa sia utilizzata come mezzo per ottenere, mantenere ed affermare il potere.
Shakespeare analizza come l'animo umano, accecato dal bisogno di annientare l'altro, dall'odio, dalla vendetta, riesca a compiere gesti talmente orribili da apparire diabolici.
Questa storia potrebbe essere una delle tante storie dei giorni nostri, come quelle che ormai ascoltiamo quotidianamente dai telegiornali: una storia di follia all'interno di una famiglia, in cui rancori tra i coniugi o invidie e interessi economici spingono l'uomo ad uccidere, diventando lui stesso spietato giudice della vita di qualcun altro.

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