giovedì 5 maggio 2011

Amadori M. - Un’Europa spregiudicata

La guerra civile in Randa e le conseguenze della colonizzazione europea
Il caso del Ruanda è di certo la questione più difficile di cui si sta occupando la Corte Penale Internazionale, tribunale dell’ONU nato in seguito allo Statuto di Roma, che si occupa di giudicare crimini di importanza internazionale, e in particolare genocidi, crimini di guerra e contro l’umanità.
In Ruanda la guerra civile tra le etnie degli Hutu e dei Tutsi scoppiò negli anni Novanta, in seguito all’attentato del 1994 contro il presidente ruandese da parte di un gruppo di militari tutsi.
Tuttavia, le origini dell’odio etnico vanno fatte risalire alla fine del XIX secolo, quando, dopo la Conferenza di Berlino del 1884, l’Africa venne spartita tra le potenze europee, e il Ruanda passò sotto la dominazione tedesca e poi belga. Con la colonizzazione, i Tutsi e gli Hutu, che fino ad allora – seppur diversi per tradizioni – avevano sempre vissuto in armonia, entrarono in conflitto, poiché le potenze coloniali misero a capo di tutte le istituzioni ruandesi i Tutsi, che del Paese non erano che un’esigua minoranza. Per giustificare tale abuso, gli europei avanzarono la teoria razzista della superiorità dei Tutsi sugli Hutu tanto dal punto di vista fisico, quanto da quello intellettuale: uomini neri, insomma, ma con le qualità dei bianchi.
Per questo motivo la tensione tra le due etnie crebbe di continuo, senza contare che anche la Chiesa cattolica favoriva l’antagonismo, accogliendo nei seminari esclusivamente i Tutsi.
Il conflitto vero e proprio, però, cominciò al momento della decolonizzazione, negli anni ’50-’60, quando, con le elezioni, gli Hutu, che erano l’etnia numericamente più consistente, riconquistarono in Ruanda il potere, fino ad allora detenuto esclusivamente dai Tutsi. Di qui i massacri: nel 1959, nel 1962, nel 1967, nel 1972, fino alla tremenda guerra civile del 1994, che provocò oltre 800.000 morti tra la popolazione civile.
Per questo, il Tribunale Penale Internazionale con sede ad Arusha, in Tanzania, che sarà attivo fino al 2012, è stato chiamato ad occuparsi del caso ruandese, anche se nel suo giudizio paiono già mescolarsi interessi di parte d’origine politica. Ad esempio, è dato eclatante il fatto che, come per molti altri fatti di attualità africana, i mezzi di informazione assai poco abbiano parlato di questo genocidio e non abbiano mobilitato l’opinione pubblica, né abbiano informato gli europei delle loro responsabilità storiche rispetto agli odi che dividono le popolazioni africane.

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