martedì 5 giugno 2012

ELENA BENINCASA - Africa: colonizzazione e decolonizzazione

Rivista: "Il venerdì di Repubblica"
 Sezione: Fatti dal mondo


Cause e conseguenza del secolare intervento occidentale nel continente africano. Forse sarebbe stato meglio lasciare che l’Africa si sviluppasse da sé. 


· Storia e geografia del continente


L’Africa è entrata in rapporto con le grandi potenze europee a partire dall’età moderna, dal Quattrocento in poi. Gli interessi delle nazioni occidentali vertevano sulle coste in quanto costituivano un importante punto di raccordo tra continente europeo e americano sotto il profilo economico. L’interesse per l’esplorazione interna dell’Africa si diffuse solamente a partire dall’Ottocento, e in breve tempo determinò il rapido sviluppo di un tipo di commercio che esisteva dal XVI secolo: la tratta degli schiavi. All’interno di questo sistema commerciale i potentati africani della costa vendevano agli Europei gli schiavi prelevati dall’interno, e venivano, in ultimo, spediti nelle Americhe. Di conseguenza, per secoli gli stessi Africani resero schiavi i propri connazionali dando vita ad un fiorente mercato che pose le basi per i numerosi rapporti che, a partire dall’Ottocento, si svilupperanno con i Paesi europei.
Nell’ambito del colonialismo la Francia fu la prima nazione ad avviare, nel 1830, una politica africana sempre più decisa. Inizialmente occupò l’Algeria sotto Carlo X, con l’intento di distrarre la popolazione dalla precaria situazione di politica interna; successivamente, nel 1881 essa estese la propria presenza militare alla Tunisia, dove però incontrò l’opposizione dell’Italia. A questa prima penetrazione francese seguirono il Belgio, che fece del Congo uno Stato libero ma sotto il diretto controllo del re Leopoldo II; il Portogallo, che si insediò lungo le coste, in Angola e in Mozambico; l’Italia, che cercando di condurre una politica coloniale in Libia diede origine a una serie di violenti scontri; l’Olanda, che fondò la cosiddetta Colonia del Capo, che divenne una colonia di popolamento non solo per gli Olandesi ma anche per i Boeri (Francesi protestanti).
Il risultato complessivo del colonialismo africano fu la spartizione del continente nell’arco di pochi decenni, e alla fine del XIX secolo buona parte dell’Africa si trovò occupata da potenze occidentali che organizzarono l’economia, la società e la stessa suddivisione del territorio basandosi sui propri interessi, senza tener conto delle numerose etnie che da sempre popolavano il continente. Questo elemento fu di centrale importanza per una serie di cambiamenti che si verificarono durante la decolonizzazione Novecentesca. Essa ebbe inizio tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso sotto la forte pressione delle élite africane che puntavano all’indipendenza. La scelta per i Paesi Occidentali si divideva tra l’opposizione militare alla richiesta e il consenso seguito da un forte monitoraggio della transizione. Alla fine la maggior parte degli Stati africani ottenne l’indipendenza nel 1960, l’anno dell’Africa, ma il processo poté dirsi completato alla metà degli anni Settanta.
I confini di molti Stati nascenti consistevano in semplici linee rette, come si può notare osservando la mappa dell’Africa al giorno d’oggi, frutto di scelte arbitrarie. Il divario che si creò tra il disegno dei confini e le sottostanti realtà sociali era profondo, nonostante i governanti africani si impegnassero per mantenere lo status quo


· Economia e società

In seguito alla decolonizzazione l’Africa si trovò di fronte a due realtà differenti: da un lato si dimostrava profondamente influenzata dalla recente azione coloniale; dall’altro ereditava una storia secolare di culti e tradizioni di antiche etnie e tribù. Le operazioni di divisione del territorio sulla base di accordi tra le grandi potenze occidentali sradicarono le tradizioni culturali locali, dando vita a Stati in cui esse si mescolavano.
Sotto il profilo sociale, ciò creò attriti tra le tribù costrette a convivere, e in molti casi si giunse a scontri violenti. Un evento disastroso, ricordato oggi come il più drammatico della storia africana, è la guerra civile ruandese dell’aprile-luglio 1994. Dopo la conquista dell’indipendenza, il Ruanda fu teatro di massacri sanguinosi che causarono la morte di centinaia di migliaia di persone e circa due milioni di rifugiati. Il fulcro degli scontri fu il genocidio di una delle due etnie che dalla colonizzazione abitavano il Ruanda: la popolazione dominante degli Hutu operò una vera pulizia etnica sterminando quasi completamente la tribù dei Tutsi. In questo scenario di morte e violenza le potenze europee ebbero un loro ruolo: la Francia rifornì di armi i ribelli Hutu, e gli altri Paesi non intervennero per placare il genocidio, aspettando che se ne occupasse l’ONU.
L’altro tragico caso che macchia di sangue la storia del continente è l’apartheid sudafricana. Nel 1931 l’Inghilterra riconobbe al Sudafrica l’indipendenza, ma la politica interna rimase marcatamente razzista. Dal tempo della colonizzazione ottocentesca l’area era diventata una colonia di popolamento per molte etnie occidentali e non, e con il passare del tempo le tensioni tra le varie popolazioni si inasprirono. Le istituzioni liberal-democratiche nate con l’indipendenza riconoscevano i diritti civili solo ai bianchi, mentre numerose leggi discriminavano il resto della popolazione (sia asiatica sia africana). Stava nascendo la politica dell’apartheid, presto adottata anche dalla Rhodesia. La segregazione razziale fu, però, osteggiata da un movimento africano d’opposizione, l’African National Congress. Esso cominciò ad essere sentito e vissuto dalla massa quando ne divenne leader Nelson Mandela, che sul finire del Novecento pose le basi per l’abolizione della legislazione dell’apartheid, dopo un decennio di sanguinose repressioni.
In termini generali, nella maggior parte dei Paesi le potenze coloniali cercarono di introdurre istituzioni politiche di tipo occidentale, ma spesso esse cedettero il posto alle élite dirigenti militari che salirono al potere con colpi di Stato. La situazione stessa di molti nuovi Paesi permise che ciò si verificasse: il quadro complessivo era di corruzione dilagante (favorita dagli interessi occidentali), instabilità politica e violenza.
Dal punto di vista economico durante il periodo coloniale i Paesi occidentali avevano creato in Africa un sistema che mirava a fare del continente una fonte di materie prime utili all’industria europea. La logica di sfruttamento che stava alla base di questo metodo aveva favorito la sostituzione delle colture per la sussistenza con quelle richieste dai mercati occidentali. Di conseguenza, anche durante il periodo di decolonizzazione l’economia dei Paesi che avevano ottenuto l’indipendenza non era indirizzata verso il loro sviluppo. Molti contadini cominciarono a ridurre la produzione agricola per il consumo domestico, privilegiando i cosiddetti cash crops, prodotti quali caffè, tè, cotone, commerciabili sui mercati internazionali. Questa propensione verso il commercio di sola esportazione sottomise le masse contadine all’andamento internazionale dei prezzi del mercato, senza che potessero far fronte agli eventuali crolli della domanda.
Una recente questione, sorta per la prima volta nella seconda metà del XX secolo, che affetta tanto la società quanto l’economia africana, è la rapida trasformazione del continente nel cosiddetto terzo mondo. Dopo il 1960 si assistette a quella che fu metaforicamente definita una pioggia di indipendenze, che comportò la liberazione dai Paesi coloniali di circa cinquanta Stati africani.
Il fatto importante che concerne questo fenomeno non è tanto il numero dei nuovi Paesi, quanto l’enorme pressione demografica che essi esercitarono. L’aumento demografico divenne comune ai tempi della prima rivoluzione industriale, e tuttora prosegue incessantemente. In seguito a numerosi studi sulle popolazioni delle diverse nazioni si è stabilito che esso risulta sostenibile nei Paesi sviluppati (popolazioni europee o di origine europea), mentre solleva molti problemi in quelli sottosviluppati (soprattutto le ex colonie). Analizzando il caso dell’Africa, la crescita demografica causò appunto l’insorgere di gravi questioni economiche, in quanto il 60% della popolazione verso la metà del Novecento aveva meno di 15 anni. Inoltre, con il diffondersi delle innovazioni farmaceutiche, i tassi di natalità aumentarono, mentre furono crollato quelli di mortalità. L’esplosione demografica non fu, però, seguita da un mutamento di tipo economico-istituzionale. Ciò determinò l’irrimediabile inspessirsi del divario che oggi separa Paesi ricchi e Paesi poveri. 


· Considerazioni


Avendo avuto sin dall’inizio dell’età moderna rapporti squilibrati con i Paesi occidentali, l’Africa ha sempre incontrato numerosi ostacoli che hanno reso il suo sviluppo estremamente lento. Quando, nel Quattrocento, cominciò a trattare con le grandi potenze mercantili, il rapporto che si istaurò la vedeva costantemente sottomessa allo sfruttamento delle altre nazioni. L’Africa non fu mai realmente in grado di controllare le interazioni con l’estero e visse, in questo modo, una condizione di perpetua passività. I veri cambiamenti si verificarono con l’inizio della stagione coloniale ottocentesca. Il colonialismo riorganizzò il continente sotto ogni profilo: la nuova divisione territoriale determinò lo sradicarsi di tradizioni e culture, e fomentò l’ostilità tra le tribù africane; l’economia fu modificata secondo gli interessi industriali occidentali; e lo stesso sistema politico si andò via via occidentalizzando. Questo insieme di fattori impedì alle popolazioni africane di decidere da sé le sorti del Paese:, di conseguenza, anche durante la decolonizzazione l’indipendenza non comportò la nascita di sistemi politici autonomi, perché, ormai, lo stile di vita occidentale era stato assimilato.
Gli aspetti positivi dell’intervento occidentale in Africa, come per esempio l’esportazione di un sistema educativo moderno e la costruzione di nuove città, furono perciòeclissati da un lungo elenco di problemi che hanno avuto inizio con lo sbarco dei primi colonizzatori. Col trascorrere del tempo questioni quali lo sfruttamento, le malattie, la povertà si sono ingigantite, fino a divenire, oggi, una situazione dal difficile rimedio. Il percorso da intraprendere per affrancare l’Africa dalla categoria dei Paesi sottosviluppati è lungo ma non impossibile.
Bisogna, però, interrogarsi su quale sarebbe stata l’attuale condizione africana se essa fosse rimasta inalterata, ovvero se nessuna grande nazione avesse deciso di farne un territorio ad uso personale andando a rompere un equilibrio interno secolare. Essendo un continente così ricco di materie prime e così vasto, probabilmente, sarebbe diventata una rivale degna di concorrere con le potenze già consolidate per la grande scalata economica. 

Virginia Marangon



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