Verso Sarajevo:
Il
pullman sfrecciava nella pianura completamente buia già da qualche ora, quando
abbiamo intravisto nella luce dei fanali le prime case in rovina. Per
chilometri e chilometri scorrevano ai nostri lati soltanto figure grigie,
pareti senza tetti, colonne senza pareti, come fossero i fantasmi dei paesi
popolati e luminosi che vi erano poco più di 15 anni fa. Forse a causa delle
nostre aspettative o forse per qualche empatia con il silenzio circostante, ci
sentivamo oppressi e abbandonati nel guardare l'impronta lasciata dalle
granate. Si aveva l'impressione che, oltre quella breve visione fatta di
istanti e di pochi metri, oltre l'asfalto vi fosse nascosto qualcosa che non
riuscivamo a carpire, ma che ci pervadeva di una tristezza soffocante e inesprimibile.
Sarajevo:
Sarajevo
è come un tessuto di case e di tombe, ci sono bianche lapidi sparse tra le vie
e i giardini, fino a isolati alternati alle colline ricoperte di cimiteri. In
questa capitale, più che mai, la vita e la morte coesistono l'una accanto
all'altra: la distruzione della guerra e a fianco l'irresistibile slancio verso
la rinascita. Allo stesso modo, in una città così speciale, laddove diverse
culture si compenetrano e si sommano costituendo una società multietnica e
ricca, la ricchezza, anche e spesso, divide.
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