VIAGGIO
D’ISTRUZIONE, BOSNIA 1992-1995
FRAMMENTI
DI MEMORIE
Partiti con valige piene di cibo e voglia di divertirci,
abbiamo scoperto un mondo prima totalmente sconosciuto e sconvolgente.
Sarajevo: l’arrivo notturno a Sarajevo ci ha
improvvisamente svegliati dal nostro torpore. Una montagna di luci
nell’oscurità della notte ci ha fatto intravedere, solo per qualche istante, la
desolazione della città, i palazzi distrutti e i fori nelle pareti causati,
qualche anno prima, da proiettili e da frammenti di mine.
Fabio, la nostra guida, o come dice lui scherzosamente “il
nostro guido”, aveva 10 anni durante
la guerra. Dice che ha visto tanti morti, tanta distruzione e paura. Oggi ha
circa trent’anni, è un uomo diverso, un uomo che sa, un uomo che, come dice lui
stesso, ha capito il senso della vita.
Ci racconta la guerra, come l’hanno vissuta lui e i suoi
concittadini, con occhi che brillano del ricordo ancora vivo, e sfiorano i
nostri visi, come per ammonirci. Sorride poi quando dice che le donne hanno
salvato Sarajevo con il contributo che hanno dato agli uomini, e ne è orgoglioso.
Anche sul volto del Generale bosniaco si nota una certa
fierezza e allo stesso tempo un senso di sconforto e di disgusto per questa
guerra inutile. Guarda ai suoi piedi e poi improvvisamente su, verso la distesa
di esili lapidi bianche che spuntano tra le case e i giardini. Si ferma
un’attimo per ammirare quello spettacolo agghiacciante che si nota dall’alto di
Sarajevo: immense indistinte macchie bianche: sono lapidi, sono dappertutto.
Srebrenica: a Srebrenica, la città dell’argento,
ci troviamo davanti al genocidio di circa 8000 persone, deportazioni, torture,
madri che piangono l’ultimo ricordo che hanno dei loro figli: la separazione
forzata che non sono riuscite ad impedire. Ricordano i loro visi, il loro nomi
e le loro ultime lacrime. Poi ancora, foto spettacolari che raccontano
l’orrore della morte più cruda.
In bianco e nero gli occhi di una donna mi
hanno trafitta.
Tuzla: A Tuzla si respira speranza: la “casa pappagallo” ha risposto a molte
nostre domande. Colori, sorrisi, sguardi, baci sfuggenti e una partita di
calcio, come simbolo di unione tra i ragazzi di due paesi così differenti, ma
vicini, come la Bosnia e l’Italia. Sono solo undici i volontari in tutta la
Bosnia, ammettono i tre ragazzi che ora stanno lavorando con i bambini accolti
nel centro (circa 150). Ce ne vorrebbero di più, c’è tanto lavoro da fare,
troppe persone da aiutare.
Edward, l’autista del pullman, a 21 anni ha girato il mondo
con i suoi sei amici. Ha imparato tante lingue e come si vive in altri paesi.
Oggi, dice, è rimasto solo lui; a Tuzla, la sua città natale, non si chiede come uno è morto, ma dove: hanno lanciato bombe ad uranio
impoverito che hanno straziato questa gente.
Mostar: Mostar è una cittadina turistica non
lontano da Sarajevo, famosa per l’immenso ponte che sovrasta il fiume Neretva,
una delle acque più limpide che abbia mai visto.
Qui mi chiedo come è possibile che in un posto così bello,
infossato tra due montagne e costruito tra la roccia, sia accaduta una cosa
simile. Lo Stari Most è stato
abbattuto il 9 novembre ‘93 dal fuoco croato, una ferita alla comunità
irrimediabile. Il ponte, oggi ricostruito, voleva essere un simbolo d’unione
tra le varie culture e religioni, ma oggi questa sua anima è perduta: oggi
l’unione è solo apparente. A Mostar i bambini studiano in scuole diverse e con
testi diversi a seconda delle credenze religiose della famiglia e si pensa a
una divisione della città anche dal punto di vista politico. È uno dei paesi più
incredibili che abbiamo visitato in questa settimana, ma, ancora una volta, la
tragedia qui avvenuta contrasta con la bellezza eterea dei luoghi.
Non ne sapevo niente. Siamo partiti per conoscere, capire e
crescere, e così è stato, almeno per me.
Ma, come sempre, tutto ci scivola addosso, e domani ce ne
saremo già dimenticati e ci arovelleremo su cosa indossare il giorno seguente.
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