Venerdì 23 marzo
Dopo quasi cinque anni ho
visitato la città di Trieste per la seconda volta. Poter camminare di nuovo per
piazza Unità d’Italia, completamente affiancata al mare, mi ha fatto provare una
sensazione di libertà e pace. Sono passato anche dal teatro romano, che
l’ultima volta non avevo visto. Essendo ormai in rovina, del teatro sono
rimaste solo le fondamenta.
Ciò mi ha fatto riflettere su
quanto fossero avanzate le tecniche di costruzione degli antichi romani.
Infatti è molto raro che le fondamenta di un edificio si conservino per duemila
anni.
Dopodiché, ho raggiunto le statue
di Umberto Saba e James Joyce, due scrittori e poeti che hanno ricordato la
città di Trieste nelle loro opere. Il viaggio è continuato poi nella città di
Lubiana, capitale della Slovenia, che dista solo un’ora da Trieste. Penso che
Lubiana sia stata la città balcanica che mi ha affascinato di più: piena di
ponti, edifici colorati e zone verdi.
Nella piazza principale c’era la
statua di France Prešeren,
poeta sloveno considerato dagli abitanti alla pari del nostro Dante. Un’altra
cosa che mi ha colpito è che Lubiana, nonostante si trovi più isolata dal resto
d’Europa, possiede più fascino e bellezza di molte capitali europee.
Sabato 24 marzo
Questa mattina saremmo dovuti
partire per Sarajevo, ma a causa di un imprevisto (all’autista hanno rubato i
documenti) siamo “costretti” a rimanere a Lubiana qualche ora in più,
nell’attesa di un nuovo autista. Ma non tutti i mali vengono per nuocere:
infatti abbiamo fatto un altro giro, addentrandoci in una parte di Lubiana che
ieri c’era sfuggita. Camminando lungo una via di questo quartiere abbiamo
notato che alcune paia di scarpe erano appese ai fili della corrente elettrica
ed essendo curiosi abbiamo chiesto a un passante cosa significasse quel gesto.
Egli ha risposto che quando una persona muore si usa appendere delle scarpe ai
cavi elettrici per ricordarla.
Questo quartiere era particolare
anche per i suoi graffiti. Due in particolare mi hanno stupito: il primo era un
cuore dentro al quale vi era scritto“capitalism
you are driving me crazy” (capitalismo mi stai facendo impazzire), l’altro
invece raffigurava il simbolo dell’anarchia. Questi graffiti dimostrano che
pure a Lubiana, nonostante sia lontana dal resto d’Europa, ci sono
manifestazioni anarchiche e anticapitalistiche.
Nel primo pomeriggio l’autista è
arrivato e siamo partiti per Sarajevo. Il viaggio è stato interminabile: più di
dieci ore di pullman.
Una volta oltrepassata la
frontiera per entrare in Bosnia, subito si sono presentate a noi case distrutte
e colpite dalle bombe in una zona sperduta e desolata. Tutto era buio intorno a
noi, sembrava quasi che i nostri pullman fossero i soli a vagare nella notte.
La prima sensazione che provai fu una sorta di tristezza: vedendo quelle case
bombardate mi chiesi perché l’uomo era arrivato a compiere un atto così violento
come l’uccisione di oltre 11mila persone.
Siamo arrivati in hotel circa
un’ora dopo.
Domenica 25 marzo
Oggi visita di Sarajevo. Ci siamo
incontrati con la nostra guida e con Jovan Divjak, un generale bosniaco che ha partecipato alla guerra.
Insieme siamo saliti sul colle più alto della città, dal quale si godeva di una
vista magnifica. Durante la salita abbiamo siamo passati di fianco al cimitero
musulmano, costituito da tombe che hanno la forma di obelischi bianchi. La cosa
che però mi ha impressionato di più è stata la quantità di queste tombe
bianche, che si estendevano dall’inizio del colle fino ad arrivare in pianura.
Il generale Divjak ci ha
raccontato la sua esperienza durante la guerra: allo scoppio della guerra nel
1991, egli si era arruolato nell’esercito serbo. Tuttavia, nel maggio 1992, quando
iniziò l’assedio di Sarajevo, egli passò dalla parte dei “ribelli”: lasciò
quindi l’esercito e si schierò con la popolazione croata e bosniaca rimasta in
città, guidandone la difesa.
Dopodiché la nostra visita è
continuata nel centro della città: abbiamo visto la moschea musulmana, la
sinagoga ebraica, la cattedrale del Cuore di Cristo (cattolica) e la cattedrale
serbo-ortodossa. Quella che mi è piaciuta di più come stile ed architettura è
stata l’ultima: in stile barocco, la cattedrale serbo-ortodossa è sormontata da
cinque cupole con un campanile all’entrata. Verso mezzogiorno, per
rifocillarci, ci siamo fermati a pranzare in un ristorante la cui specialità
era il “cevapcici”,
piatto tipico bosniaco. Esso è costituito da un pezzo di pita (pane morbido lievitato) riempito con piccole salsicce di
manzo e vitello, panna acida e cipolle.
Penso che sia la cosa più buona
che ho mangiato durante questo viaggio. Nel pomeriggio abbiamo visitato il Tunnel della speranza. Questo tunnel fu
costruito dagli assediati bosniaci con lo scopo di collegare la città di
Sarajevo con l’area neutrale dell’aeroporto, in cui si trovava l’ONU.
Ciò permise ai soldati delle
Nazioni Unite di rifornire la città di cibo, acqua e medicinali.
Lunedì 26 marzo
Quest’oggi abbiamo fatto visita
al sacrario di Srebrenica. La cosa che mi ha colpito di più non appena siamo
scesi dal pullman è stato il diverso colore che avevano le lapidi delle
vittime.
Infatti, alle persone i cui corpi
sono stati ritrovati era stata messa una lapide di marmo bianco, mentre coloro
i cui corpi erano dispersi era stata messa una lapide di legno dipinta di
verde.
Dopo una breve spiegazione
introduttiva, in cui ci hanno spiegato che quel luogo è stato creato per
ricordare e seppellire le vittime del genocidio del 1995, siamo andati in un
capannone dove era esposto un reportage fotografico sulla guerra. Abbiamo anche
visto un documentario in cui alcune madri raccontavano, con le lacrime agli
occhi, in che modo avevano perso i loro figli durante la guerra. La visione di
questo filmato mi ha fatto provare un senso d’angoscia e disgusto per le
atrocità di guerra. Dopodiché abbiamo visitato un edificio adiacente
parzialmente distrutto dai bombardamenti.
La visita a Srebrenica è stata
quella che ha avuto su di me l’impatto emotivo più grande: l’angoscia, la
tristezza, il disgusto provati erano tali che desideravo andarmene da quel
luogo il più presto possibile.
Martedì 27 marzo
La destinazione odierna è stata
Tuzla. Grazie all’associazione Tuzlanska Amica, abbiamo visitato una
casa-famiglia in cui i bambini che hanno una situazione familiare difficile
vengono accolti ed educati. Poi abbiamo visitato il cimitero di Tuzla e la cosa
che mi ha più impressionato è stata l’età dei morti: la maggior parte di loro
non aveva nemmeno vent’anni.
Dopo la spiegazione che la guida
ci ha fornito sulla storia di Tuzla ed in particolare sul cimitero, il nostro
compagno Massimo ha intonato al clarinetto un adagio di Mozart, affinché
potessimo comprendere attraverso quella musica dal tono grave la tristezza
provata dalle famiglie delle vittime.
In seguito, abbiamo visitato il
centro di Tuzla e nel pomeriggio alcuni di noi hanno giocato una partita di
calcio con alcuni ragazzi della casa-famiglia.
Mercoledì 28 marzo
Partenza da Sarajevo. Ricorderò i
giorni passati in questa città con gioia. La prima tappa che abbiamo fatto è
stata Mostar. Si tratta di una città turistica situata sul fiume Narenta, il
cui ponte fu distrutto dai bombardamenti della guerra nel 1993 e ricostruito
solo nel 2004. La guida ci ha raccontato che esiste tra gli abitanti di Mostar
una sorta d’inimicizia risalente alla guerra: la popolazione è infatti composta
da croati-bosniaci e bosniaci-musulmani che durante il conflitto si
combattevano gli uni contro gli altri. Questa ostilità rimane ancora oggi,
nonostante la guerra sia finita da più di quindici anni.
Dopodiché abbiamo passato qualche
ora a fare acquisti e in seguito siamo partiti per Dubrovnik. Arrivati verso
sera, ci siamo concessi una passeggiata nel centro della città. Dubrovnik è una
città di mare, che ricorda molto le nostre Rimini e Riccione (mare inquinato a
parte).
Giovedì 29 – Venerdì 30 marzo
Abbiamo visitato la città
percorrendo le mura, lunghe 1940 metri. È stata una passeggiata piuttosto
intensa, però ne è valsa la pena: le mura sono alte fino a 25 metri e da quell’altezza
si ha una vista di Dubrovnik favolosa!
Dopo la passeggiata e una breve
visita del centro città siamo partiti per Spalato, dove ci siamo imbarcati sul
traghetto. La traversata dell’Adriatico è stata lunga, abbiamo impiegato circa
dieci ore per raggiungere Ancona, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. In meno di
due ore eravamo già a Bologna.
Considerazioni finali
Penso che non dimenticherò mai
questo viaggio d’istruzione e sono contento di avervi partecipato perché,
nonostante il forte impatto emotivo che ha suscitato in me, ho imparato
qualcosa di più su una guerra che si è svolta in tempi recenti. Inoltre, ho
avuto la possibilità di visitare città bellissime, che mi hanno veramente
affascinato e che spero un giorno di poter rivedere.
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